Il dibattito sulle abitudini di utilizzo delle regole Incoterms da parte delle imprese esportatrici Italiane è recentemente tornato alla ribalta grazie allo studio elaborato dal Centro Studi SRM per il Sistema Portuale di Genova (Ports of Genoa) presentato in un recente intervento dal titolo: “IMPORT-EXPORT MARITTIMO DI MERCI CONTAINERIZZATE: UN FUTURO DA SCHIAVI?”.

Anche il Direttore dell’Agenzia delle Dogane Minenna si è recente espresso sull’argomento.

Premetto che lo studio è molto interessante ed utile. Da Manager del settore delle spedizioni, queste informazioni sono utilissime per orientare le scelte strategiche commerciali.

In questa sede vorrei però concentrarmi sulle conclusioni che si sono dedotte dall’analisi.

Molti sono i commenti che si sono spesi sull’argomento, anche perché il tema degli Incoterms è di grande attualità  considerato che la International Chamber of Commerce ne ha rilasciato una nuova versione proprio quest’anno.

Il filo rosso che unisce gli interventi degli esperti di commercio internazionale su questo tema è sostanzialmente riassumibile in questo sillogismo:

· Le imprese esportatrici Italiane sono poco coraggiose o poco strutturate e per tale motivo rinunciano a presidiare la catena logistico distributiva internazionale, lasciando questo compito ai compratori esteri;

· Questa abdicazione di sovranità  logistica impoverisce il sistema logistico italiano, favorendo il dominio di operatori logistici stranieri, in particolare i grandi integratori multinazionali della logistica;

· A sua volta questa perdita di competitività  si riflette sulla capacità  di sfruttamento a vantaggio del sistema Paese delle infrastrutture esistenti;

· Il tutto con danno finale a carico delle stesse imprese esportatrici, che si trovano a competere con posizione di minor favore rispetto a imprese di altri stati dove le linee di tendenza in materia logistica sono diametralmente diverse.

Le regole Incoterms elaborate definiscono standard che le imprese possono usare nei contratti di compravendita internazionale di merci per determinare:

–         Quali costi del trasporto sono a carico del venditore e del compratore;

–         A carico di chi sono i dazi e l’iva all’importazione;

–         A partire da quale momento / punto fisico i rischi di perimento della merce trasportata “passano” dal venditore al compratore;

–         Se e fino a quale momento / punto fisico il venditore deve stipulare una polizza assicurativa contro il rischio di perimento delle merci.

A fini del mio ragionamento, possiamo semplificare dicendo che ad un estremo abbiamo lo standard Ex Works, in cui tutto (oneri, rischi, costi assicurativi) è a carico del compratore sin dal primo movimento della merce; all’estremo opposto abbiamo invece il Delivery Duty Paid (DDP) in cui tutto (ma proprio tutto, compreso assolvimento di dazi e iva all’importazione nel paese di destinazione) è a carico del venditore.

I dati emersi dalla recente indagine del Centro Studi SRM sono in sintesi i seguenti:

–         il 73% degli esportatori intervistati spedisce con clausola Ex Works, vale a dire senza alcuna forma di controllo su tutte le fasi del trasporto dall’origine a destino;

–         Negli altri stati dell’unione Europea la percentuale è pari solo al 30%;

–         per le aziende esportatrici Italiane la tendenza sottende una scelta di opportunità  e non è avvertita come un problema da risolvere.

Il risultato dell’indagine, già noto come “verità  non scritta” tra gli operatori del settore logistico e tra gli esperti di commercio internazionale, viene spesso sintetizzato dicendo (e stigmatizzando) che le imprese Italiane per la maggior parte vende in export Ex Works ovvero che (vista da altra prospettiva), il controllo sulle spedizioni internazionali in esportazione è nella maggior parte dei casi ad appannaggio del compratore.

Le conseguenze che la maggior parte dei commentatori traggono da questo trend possono essere così sintetizzate:

–         Perdita di competitività  per le imprese Italiane

–         Mancanza di un operatore logistico internazionale

–         Vantaggio per le grandi multinazionali della logistica internazionale

–         Peggioramento della bilancia commerciale

–         Peggioramento della bilancia dei noli

Il corollario à dunque il seguente: stimoliamo e incentiviamo le imprese Italiane ad essere più audaci nelle loro scelte logistiche e invertiremo le tendenze negative sopra elencate. La maggior audacia auspicata dovrebbe prendere forma con l’utilizzo di Incoterms che consentano all’esportatore di controllare la catena logistica almeno fino al confine doganale di destinazione.

Insomma, la battaglia contro l’Ex Works come soluzione a molti dei mali della logistica italiana.

Lungi dal sottoscritto voler incentivare l’utilizzo della clausola dell’Ex Works nelle esportazioni. È noto a tutti il rischio fiscale che si corre, ad esempio, delegando al compratore gli adempimenti doganali in esportazione. Qualunque esperto di commercio internazionale sa che l’Ex Works è una regola che si addice bene al trasporto domestico ma non al trasporto internazionale (per lo meno quello con destinazione extra UE), tant’è vero che spesso si è ventilata l’ipotesi che la stessa ICC lo eliminasse dagli standard Incoterms (lasciando spazio al più idoneo FCA).

Nel contesto del dibattito in corso, tuttavia, è a mio avviso evidente che il focus sull’Ex Works è una semplificazione per richiamare più in generale tutti quei termini di resa Incoterms in cui l’esportatore non si occupa del cosiddetto main carriage, delle operazioni doganali a destinazione e del c.d. on carriage.

Basandomi sulla mia esperienza nel settore delle spedizioni internazionali vorrei dare qualche contributo alla discussione, affrontando alcune sfumature dell’argomento che fino ad ora non hanno trovato sufficiente trattazione.

A proposito degli effetti della scelta degli Incoterms sulla competitività  delle imprese Italiane

La scelta degli Incoterms rientra nella libera negoziazione delle parti in una trattativa di vendita internazionale. Trattativa il cui risultato finale (la scelta dell’Incoterms) è frutto di una negoziazione influenzata dai rispettivi obiettivi strategici di partenza, dal potere e dall’abilità  negoziale delle parti.

Nella scelta di un Incoterms piuttosto che un altro le imprese valutano questi impatti:

–         Incidenza dei costi logistici sul prezzo del prodotto;

–         Capacità  di governare il servizio logistico all’origine e/o a destino;

–         Rischi (e opportunità ) fiscali, doganali e legali in genere, sia nel paese di origine che di destinazione;

–         Modalità  e tempistiche di incasso del prezzo (o per converso rischio di non incasso);

–         Capacità  di gestire la compliance del processo di export;

–         Tipologia di cliente servito e capacità  dello stesso di gestire il processo di import (vendite B2B, B2B2C, B2C, importatori, retailer, imprese grandi, medie, piccole etc.);

–         Tipo di prodotto (bene di consumo, bene intermedio, bene di investimento, deperibile o non deperibile etc.);

–         Prodotto/brand più o meno sensibile a corrette/scorrette modalità  distributive;

–         Livello di servizio/assistenza per la messa in funzione o utilizzo del prodotto da parte del compratore.

Già  questa breve carrellata di elementi di valutazione e relative variabile può far capire come sia del tutto fisiologico in molti casi “delegare” al compratore buona parte del controllo della spedizione internazionale. A parte i casi di imprese con presenza strutturata nel Paese di destinazione della merce, il compratore (almeno quello B2B) vanta sempre un maggior presidio dei fornitori locali e maggior conoscenza delle regole commerciale. Questo si traduce nella capacità  di spendere meno a parità  di servizio, spesso consentendo l’assunzione consapevole di rischi “calcolati”. Così come è chiaro che in alcuni casi il controllo della catena logistica fino a destinazione finale è condizione sine qua non per la conclusione stessa della vendita. Le imprese che si strutturano con una presenza diretta nel Paese di destinazione, d’altra parte, sono proprio quelle per le quali una corretta distribuzione fino all’ultimo miglio è critica per il successo del proprio prodotto/brand ovvero per quelle che devono garantire un livello di servizio pre e post-vendita come parte integrante del proprio offering.

Al netto del potere e delle abilità  negoziali, sono dunque gli obiettivi strategici di partenza a definire la scelta di controllo maggiore o minore sulla catena logistica internazionale. La maggiore o minore competitività delle nostre imprese non è detto che sia così influenzata dalla scelta di un Incoterms piuttosto che un altro.

Fermo restando l’obiettivo finale (rendere più competitive le imprese Italiane) io mi concentrerei sulle iniziative che spingono ed incentivano le imprese Italiane a spingersi in avanti (o verso il basso per essere più corretti) nelle rispettive catene del valore. È noto, infatti, che le imprese (e i Paesi) che si appropriano di quote maggiori di valore aggiunto sono quelle che si posizionano a monte (controllo delle risorse, progettazione, creativitò ) o a valle (controllo del cliente) nella catena del valore. Incentiverei anche la presenza diretta delle imprese italiane nei principali paesi di sbocco, almeno con presidi commerciali e logistici (c.d. investimenti diretti all’estero). Questo assicurerebbe sicuramente un ruolo più centrale delle nostre imprese nelle scelte logistiche in ambito di commercio internazionale, a prescindere all’Incoterms scelto.

A proposito degli effetti della scelta degli Incoterms sulla struttura del mercato della logistica domestico

Mi permetto una digressione sul ruolo degli spedizionieri perché ho la sensazione che non si considera che la scelta del vettore è una scelta mediata per l’esportatore o l’importatore. Mediata, per l’appunto, dall’intervento di uno spedizioniere. Salvo i casi di poche imprese manifatturiere di dimensione globale che sono in grado di gestire internamente quasi tutto il ciclo di una spedizione internazionale, nella gestione logistica di una esportazione/importazione è infatti sempre presente uno spedizioniere nel Paese di origine della merce e uno nel Paese di destinazione. Nel caso delle imprese multinazionali della logistica, entrambe i soggetti appartengono al medesimo Gruppo societario. Negli altri casi si tratta di Spedizionieri indipendenti (da Gruppi multinazionali) che collaborano su base contrattuale con altri Spedizionieri dello stesso tipo dislocati in ogni Paese del mondo, talvolta accomunati dall’adesione a qualche forma di Network. Solitamente, le redini dell’operazioni sono in mano allo Spedizioniere nominato dal soggetto (esportatore o importatore) che ha l’onere di gestire il c.d. main carriage (la tratta di trasporto internazionale in senso stretto). Ecco, dunque, che la scelta dell’Incoterms in un modo o nell’altro condiziona l’operatività degli Spedizionieri di un dato paese. Se in Italia la maggior parte delle imprese vende Ex Works, questo significa che sono i compratori stranieri a dover gestire il main carriage e, di conseguenza, è lo Spedizioniere da loro nominato a tenere le redini dell’operazione. Spedizioniere, evidentemente, localizzato nel Paese di destinazione (anche se non è detto che sia sempre così). Lo Spedizioniere di destinazione può svolgere attività commerciale nel proprio paese, cercando di accaparrarsi il trasporto commissionato dai compratori/importatori. Per lo svolgimento delle attività  logistiche nel paese di origine avrà  comunque bisogno di appoggiarsi ad uno Spedizioniere locale. Da questo punto di vista, lo Spedizioniere all’origine svolge un ruolo operativo e di servizio rispetto alla spedizione, senza possibilità  di gestione commerciale del cliente finale del servizio logistico: il compratore. Se questo sia positivo o negativo non lo so e non ho dati scientifici per misurarlo. Quello che so è che questa tendenza ha consentito la sopravvivenza di tanti spedizionieri piccoli e medi nel nostro Paese che hanno saputo farsi forza di un livello di servizio di eccellenza, pur in assenza di grandi risorse finanziarie, organizzative e commerciali tipiche delle Multinazionali del settore. Non solo, per esperienza posso dire che spesso, le commesse che derivano da Spedizionieri stranieri sono spesso più remunerative di quelle commissionate da clienti diretti italiani. Forse per la minor concorrenza nei paesi di destinazione, forse perché alla logistica all’estero è data maggior considerazione, forse perché nell’attività  commerciale all’estero sono più bravi. Sta di fatto che, per il piccolo e medio spedizioniere italiano, lo Spedizioniere straniero è spesso un cliente più professionale e più remunerativo di un cliente diretto italiano con cui la discussione finisce quasi sempre solo ed esclusivamente sul prezzo e sulle condizioni di pagamento. A proposito di condizioni di pagamento, il fatturato generato dagli Spedizionieri stranieri genera tendenzialmente meno insoluti di quello che generano i clienti diretti italiani.

Ecco allora che questa tendenza a spedire Ex Works non è detto che sia così negativa per il sistema logistico, a meno che si sostenga che il “positivo” èdato solo dalla presenza di grandi imprese. È vero che manca un Campione nazionale della logistica, ma questo è figlio più di decisione strategiche prese ai massimi livelli di Governo del nostro Paese piuttosto che alla diffusione di un Incoterms o di un altro. In ogni caso, l’azione di supporto al sistema export italiano può benissimo essere portata avanti anche in assenza di un grande aggregatore nazionale.

A proposito degli effetti della scelta degli Incoterms sulla bilancia commerciale e sulla bilancia dei noli

L’affermazione secondo cui la scelta di un Incoterms piuttosto che un altro possa influenzare in modo positivo la bilancia commerciale si basa sulla considerazione che un’impresa esportatrice che vende, ad esempio, DDP, venderà  ad un prezzo maggiore per includere tutti i servizi di trasporto fino a destino, aumentando dunque il valore dell’export. L’aumento approssimerà  verosimilmente il valore dei servizi di trasporto inclusi nel prezzo. Prendiamo allora l’ipotesi all’estremo opposto: impresa esportatrice che vende Ex Works. In questo caso il prezzo di vendita (e dunque il valore di export di merce) sarà  inferiore, ma il controvalore netto dei servizi di trasporto effettuati Italia tornerà  comunque ad aumentare la bilancia dei pagamenti sotto forma di prestazioni di servizi fatti dallo Spedizioniere Italiano allo Spedizioniere del Paese di destinazione. Potrebbe esserci un effetto di perdita di marginalità  su questi servizi per il sistema Paese, ma come detto sopra spesso succede che la redditività  garantita dal cliente estero sia maggiore di quella garantita dal cliente italiano.

Quanto poi agli effetti sulla bilancia dei noli, faccio questa riflessione. Al netto di politiche protezionistiche sull’accesso all’esercizio dell’attività  di trasporto su territorio nazionale, gli operatori potenzialmente coinvolti nella gestione di un trasporto internazionali sono i medesimi, sia che la scelta competa allo Spedizioniere all’origine sia che competa allo Spedizioniere di destinazione. È tutto da dimostrare che il maggior coinvolgimento commerciale degli Spedizionieri all’origine porti ad un maggior utilizzo di operatori del trasporto nazionali, ammesso che ve ne siano ancora… Credo che sia questo il vero problema, più della scelta della resa Incoterms.

In sintesi

La logistica è una funzione strategica, sia intesa come funzione aziendale all’interno delle imprese sia intesa come complesso di infrastrutture e servizi a supporto del sistema paese e delle sue esportazioni.

Dire che è strategica significa che chi la rappresenta deve essere coinvolto nei tavoli decisionali che contano, che sono quelli che possono cambiare il destino di una azienda o del Paese.

Focalizzarsi sull’utilizzo di un Incoterms piuttosto che un altro equivale a curare il sintomo e non la malattia.

Per stimolare un maggior coinvolgimento delle imprese nelle scelte di logistica internazionale io punterei:

–       A iniziative di stimolo ed incentivo all’innovazione, per rendere sempre di più i nostri prodotti unici, aumentando il potere negoziale delle imprese nella value chain globali;

–       A iniziative di stimolo ed incentivo alla presenza diretta sui mercati esteri, avvicinando le nostre imprese ai mercati di utilizzo finale;

–       Ad aumentare il livello di conoscenza delle tematiche di commercio e logistica internazionale, nelle scuole, nelle università  e nei percorsi di aggiornamento professionale;

–       Stimolare e incentivare le aggregazioni aziendali tra piccoli spedizionieri.

Sulla necessità  di investire sulle infrastrutture e la salvaguardia degli ormai pochi grandi vettori nazionali c’è poco da aggiungere e temo ormai poco da fare.

Fatto tutto questo, le statistiche sull’uso degli Incoterms potranno verosimilmente registrare un’inversione di rotta perché la malattia sarà  curata e i sintomi non si vedranno più.

Alessandro Canese

Executive Partner